E’ il canto delle cicale, in un bosco sul mare, a fare da sfondo alla telefonata/intervista con Anna Scaravella. Piacentina, paesaggista tra le più note e apprezzate del panorama internazionale, non a caso si trova in un luogo caratterizzato da un contesto naturale interessante: un esempio di macchia mediterranea, sede e cornice del suo ultimo lavoro.
Natura e bellezza, ma anche sostenibilità e competenza. Con una laurea in scienze forestali e un tirocinio dall’architetto giapponese Haruki Miyajima, dopo oltre 30 anni di carriera come progettista di giardini e di spazi verdi un po’ in tutto il mondo, Anna Scaravella puo’ sicuramente tracciare un bilancio della sua esperienza personale ma, a pieno titolo, anche di questa professione in generale. 20 anni fa, durante una nostra prima intervista, quello del paesaggista era un “mestiere” ancora non del tutto valorizzato e capito. Oggi, grazie anche a professionisti come lei, si collega ad una competenza riconosciuta e con pari dignità rispetto ad altre. La nostra intervista parte da qui.
Come è cambiata nel tempo la professione di architetto paesaggista?
Posso dire che è cambiata molto rispetto a 20 anni fa, quando ci siamo incontrate la prima volta. Già da qualche anno ormai ci sono corsi di laurea in architettura del paesaggio e la professione del paesaggista viene riconosciuta come tale, in modo distinto, e con pari dignità, rispetto a quelle di agronomo e di architetto.
Di pari passo é cambiato anche il valore che le persone danno al paesaggio in generale e al proprio spazio verde. Lo abbiamo visto durante la pandemia: chi ne ha avuto la possibilità, ha apprezzato spazi verdi privati, ma anche pubblici, e queste circostanze hanno aumentato la sensibilità nei confronti di questo tema. Lo vedo anche io nel mio lavoro, non più limitato a spazi “scontati”. Ultimamente, ad esempio, ho curato il progetto del verde per una caserma della Polizia, a riprova del grande interesse che c’è rispetto a questo ambito.
Ci sono poi anche nuove sensibilità e problematiche legate ai cambiamenti climatici, alla sostenibilità, all’ecologia; elementi che hanno modificato l’approccio del paesaggista, e spesso anche della committenza, nei confronti del verde.
Raccontiamo come
Si prende molto più in considerazione la sostenibilità del progetto del verde e quindi ci si orienta verso piante che, in un determinato ambiente non hanno bisogno di particolari cure, o che sono resistenti al secco, o comunque piante robuste che non hanno necessità di trattamenti fitosanitari. Questo è il tema prevalente: di non volere quella determinata pianta a tutti i costi, in un contesto non adatto ad essa per il terreno, per il clima, o per altro. Si lavora quindi a progetti del verde tenendo conto della situazione fitoclimatiche del luogo, privilegiando piante che ben si adattano a quella particolare situazione.
Un esempio interessante a questo proposito è quello di Forte dei Marmi, dove sto lavorando attualmente, e dove c’è un regolamento comunale che obbliga a mettere a dimora un determinato numero di piante per metro quadro, anche in giardini privati, e di sceglierle autoctone. Questo è un po’ l’orientamento. Ciò non significa escludere del tutto piante esotiche, perché ci sono ovviamente anche piante di altri continenti che si adattano benissimo a situazioni lontane da quelle dei paesi d’origine, ma anche in questo caso è consigliabile scegliere quelle che hanno le stesse esigenze di una pianta autoctona in quel luogo.
Si fanno scelte molto più naturalistiche rispetto a prima. Posso far notare una cosa, mentre prima lo stare all’aperto non era così importante, e ci ricordiamo di scomodissime poltroncine in ferro, pesantissime, e di divani inesistenti, in questi anni c’è stato un profondo cambiamento. Tutte le grandi marche di interior design hanno proposto anche linee di outdoor, con tessuti resistenti e materiali adatti ad essere lasciati all’aperto; il vivere fuori è diventato fondamentale anche quando si tratta di spazi piccoli. Penso, ad esempio, a cucine bellissime progettate per la vita all’aperto.
Ultimo, ma non per importanza, il tema della manutenzione. Gli spazi verdi sono un lusso soprattutto per quello che comporta la loro cura, nel tempo; un giardino, uno spazio verde, anche se studiati in modo da semplificare, richiede cure mirate e continue. Non c’è nulla di peggio del vedere un giardino abbandonato e trascurato. Nota dolente, oltre ai costi, il fatto che anche in questo settore c’è una grande difficoltà dovuta al reperimento di manodopera.
Molte, nella tua carriera, le committenze prestigiose. Penso al progetto per Dior a Parigi..
Per Dior a Parigi ho realizzato un verde verticale all’interno del negozio in Rue Saint-Honoré, ma ho curato un progetto anche per un negozio Dior a Kuala Lumpur. Adesso, sempre a Parigi, sto lavorando ad un giardino che finisce nella Senna; una meraviglia. In pratica, uno dei lati è rappresentato dalla Senna, con tanto di imbarcadero.
Una professione sempre a contatto con il bello e la natura, la tua; in qualche modo un privilegio
Si è vero, e soprattutto una professione che si svolge in situazioni sempre diverse. Guardando alla mia carriera, un percorso che va dal giardino di Losanna, a quello di Formentera, da Ostuni a Selva di Val Gardena, a 1600 metri, con il ghiaccio d’inverno. Climi e spazi mai simili, ma anche destinazioni di uso differente, dalla casa privata, all’albergo, fino, come dicevo, a luoghi di lavoro.
A Piacenza ti capita spesso di lavorare? Ricordo ad esempio la progettazione del verde per il ristorante IO di Luigi Taglienti
La prevalenza del mio lavoro è all’estero in questo momento, però se capita di fare qualcosa a Piacenza accetto volentieri. Una cosa di cui vado molto orgogliosa a Piacenza, ad esempio, sono gli orti di via Degani; in questo caso, uno spazio usato dai cittadini e quindi con un valore aggiunto. Capita spesso, infatti, che mi occupi di spazi ad uso pubblico, e anche in questo caso si tratta di sfide interessanti. Tre anni fa, ad esempio, ho realizzato un intervento al castello di Arco; mi è piaciuto molto il recupero storico dell’Orto dei Semplici, con tutta una ricerca sulle piante officinali (e non) che venivano usate nel medioevo.
Un consiglio per le pubbliche amministrazioni, in tema di verde pubblico?
Il consiglio che mi sento di dare alle pubbliche amministrazioni, e non solo, è di valutare in maniera assoluta quello che un giardino comporta a livello di manutenzione; quindi, già in fase di progettazione, grande attenzione nella scelta delle piante, delle aree arbustate, del prato. Si, perché anche il prato ha delle esigenze a seconda della tipologia di seme che si utilizza, quindi è molto importante fare una valutazione di tutti questi aspetti per far si che poi questi giardini possano sopravvivere; non c’è nulla di più brutto del vedere un giardino che non è curato. Quindi molto meglio fare un giardino a bassissima manutenzione, piuttosto che un giardino ricercato senza poi avere i mezzi per mantenerlo.
Il giardino più bello firmato Anna Scaravella?
“Ogni scarrafone è bello a mamma sua” quindi é difficile dirlo. Tra quelli che mi hanno dato più soddisfazione c’è sicuramente lo spazio che hai ricordato tu prima, a Parigi, per Dior. Ma non solo e non tanto per il prestigio della griffe, che sicuramente ha un peso, ma perché la situazione era talmente complicata che ho dovuto studiare tantissimo. Quindi se l’obiettivo è ambizioso e sei al massimo della difficoltà, quando poi riesci, la soddisfazione è grande.
Devo dire che in generale mi piacciono le sfide, le situazioni difficili, e sono convinta che non esista un luogo brutto, nemmeno quando si tratta di spazi troppo antropizzati o abbandonati al degrado. In questi casi mi piace l’idea di cambiare un paesaggio, di renderlo gradevole, di dare gioia valorizzando la bellezza che c’è e che magari è nascosta.
Tempo fa ho lavorato per anni in Toscana in posti meravigliosi, tra cui la Val d’Orcia. Ecco, qui la bellezza c’è già, si tratta di valorizzarla e contribuire a conservarla. Ma ho trovato interessante anche situazioni in cui scavare e far risaltare una bellezza nascosta. Pensa che ho anche curato il progetto di installazione di barriere fonoassorbenti sulla tangenziale Ovest di Milano, che certo di poetico ha poco! Però c’è un senso, e c’è soprattutto quando realizzi progetti in ambito pubblico, pensando che crei qualcosa che servirà sarà utile e non sarà solo per pochi.
Hai ancora entusiasmo per la tua professione o cominci ad essere un po’ stanca? C’è un luogo dove vorresti realizzare uno spazio verde, che ancora ti manca?
Il mio lavoro non mi stanca mai; vivere nella bellezza, anche dove non è immediatamente evidente, mi piace e mi gratifica. Sono in piena attività e, se posso scegliere, mi piace molto lavorare nel bacino mediterraneo, ma certo non escludo altri paesi. Se poi parliamo di un sogno nel cassetto, direi che uno c’é: mi piacerebbe fare un giardino a Marrakech.