L’analisi e il commento di Massimo Solari si riferiscono all’ultima proposta culturale della Diocesi di Piacenza Bobbio. Un viaggio nel passato, nel pozzo di Sant’Antonino, nella Chiesa di Santa Maria in Cortina. Alla scoperta dei misteri e delle suggestioni della camera ipogea dove venne ritrovato il corpo del santo.
“Piacenza – lo sappiamo – è stata fondata dai romani nel 218 avanti Cristo. Ma sappiamo anche che di quel periodo c’è rimasto ben poco: le strade ortogonali del centro storico, che si rifanno all’antico accampamento e pochi reperti, il più noto dei quali è il fegato etrusco.
Basta? Avevamo un foro, una piazza d’armi, perfino un anfiteatro che secondo Tacito era uno dei più grandi dell’Italia settentrionale: non è proprio rimasto niente?
Il foro è sepolto sotto il semaforo tra via Roma/via Cavour. Ne rimane solo il ricordo nella chiesetta delle Orsoline, San Martino in Foro. La piazza d’armi è diventata nei secoli piazza Cavalli.
E l’anfiteatro? Probabilmente era di fronte all’attuale Palazzo Farnese, dove è stata costruita la recente e controversa “residenza Duchessa Margherita”. Era stato completamente distrutto dalle fiamme nella guerra tra Otone e Vitellio, nel 69 d. C. quando i due si erano scontrati proprio nei suoi pressi.
Gli altri reperti, tra cui la monumentale Nike di Cleomene, dovrebbero essere esposti nella sezione archeologica dei musei farnesiani di prossima apertura.
UN VIAGGIO NEL TEMPO
Ma un assaggio di Piacenza romana lo possiamo avere da subito visitando la mostra “il pozzo di Sant’Antonino. Un segreto sotterraneo” aperta da dicembre a marzo presso la chiesetta di Santa Maria in Cortina, in via Verdi, di fronte al teatro Municipale.
Lì avremo la possibilità di entrare in un locale “romano” del terzo o quarto secolo della nostra era. Un ipogeo, cioè una stanza sotterranea.
Secondo la leggenda il secondo vescovo di Piacenza, san Savino, riceve in sogno una visione, nella quale gli viene svelato che a pochi metri di profondità, in un dato luogo, avrebbe trovato le spoglie del patrono di Piacenza, Sant’Antonino. Il vescovo scava e trova diverse ossa e un vaso in vetro che contiene il sangue del santo martire, ucciso il 4 di luglio del 303 a Travo.
Il giorno del ritrovamento? È il 13 di novembre. L’anno? Dato che Savino muore nel 420, siamo attorno al 400, circa un secolo dopo la morte violenta del Patrono. E Savino, prelevate le spoglie, le porta in solenne processione nella basilica di San Vittore, che da quel momento si chiamerà Sant’Antonino.
GLI ORARI DI APERTURA
Gestiscono l’evento gli entusiasti ragazzi della cooperativa Cooltorur, evento promosso dall’Ufficio beni culturali della Diocesi di Piacenza-Bobbio, con la collaborazione di Cooltorur s.c., il patrocinio del Comune di Piacenza e il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, come evento collaterale alla mostra di Annibale di palazzo Farnese.
Gli orari di apertura sono il venerdì dalle 17 alle 20, il sabato e la domenica, festivi e prefestivi dalle 12 alle 19. Si accolgono 8 visitatori per volta e stimando in circa 30 minuti la visita, può essere che si debba attendere un po’, anche perché la manifestazione riscuote un discreto successo.
La visita comincia nella chiesetta di Santa Maria in Cortina, nella quale viene proiettato un breve – 14 minuti – ma molto coinvolgente video di Twin Studio (milanese ma di mano della piacentina Elena Pedrazzini) che racconta con immagini e musiche le vicende del ritrovamento del corpo del santo patrono ad opera del vescovo Savino. La presentazione termina con un vero coup de théatre: l’ultima inquadratura è dell’imboccatura ovale del pozzo. Sale la tela e contemporaneamente dall’ovale (vero) aumenta la luce che sembra accendere tutta la chiesa, mostrando gli affreschi del presbiterio.
UN SALTO NEL TEMPO
Poi inizia la discesa nella stanza sotterranea. Si scendono 4 metri e mezzo con una scala metallica non particolarmente difficoltosa. Nell’ipogeo si possono indossare occhiali virtuali che mostrano com’era la stanza all’epoca di Roma.
Il meglio è quello che non si vede ma si lascia immaginare: su tre lati si aprono nicchie che potrebbero essere altri cunicoli. Questo piccolo locale era forse parte di un vasto sepolcreto romano che si estendeva sotto tutta l’attuale piazza Sant’Antonino, sotto palazzo Landi e sotto la stessa Basilica. E così non sapremo probabilmente mai quali altri tesori giacciono sepolti a pochi metri da noi.
IL MARMO CECILIO
All’uscita ci attende una sorpresa. Nel minuscolo cortile della canonica è incastonato il “marmo cecilio”, una iscrizione di età imperiale trovata nel 1899 durante lavori di restauro della chiesa.
Il marmo, lievemente convesso, ricorda in carattere lapidario romano un Cecilio, questore e tribuno augustale, curatore del tempio da costruirsi in onore di Giove. La prof. Pagliani, nota studiosa dell’archeologia piacentina, ricorda che numerose iscrizioni funerarie romane sono state impiegate in Sant’Antonino, a riprova dell’esistenza di una vasta necropoli appena fuori le mura della città.
Insomma, una esperienza rapida, poco costosa (6 euro il biglietto normale, 4 se si è visitata prima la mostra di Annibale) e molto coinvolgente.
I TANTI MISTERI DEL POZZO
Una mostra all’apparenza modesta lascia una serie di interrogativi: cosa nascondono i cunicoli che si dipartono dall’ipogeo? Come mai il pozzo che si apre davanti all’altare maggiore non è quello dove si sono trovate le spoglie del santo, che invece erano probabilmente nell’ipogeo, collocato a qualche metro dal pozzo? Come mai l’ipogeo è a soli 4,5 metri sotto il piano di campagna, quando la Piacenza romana era posta a circa 2,5 metri sotto il livello attuale? Era un ipogeo o all’epoca era una stanza a livello di strada? Dove è stato trovato il marmo Cecilio, che doveva far parte di una tomba cilindrica molto imponente? Da cosa ha capito il vescovo Savino di trovarsi di fronte alle reliquie del Patrono? Se nei prossimi anni qualcuno di questi misteri potrà forse trovare una spiegazione, la maggioranza è destinata a rimanere tale per sempre.”
Massimo Solari