La notizia è che stamattina Parma ha vinto. A noi piacentini, fosse anche una partita a tresette, la notizia dà fastidio, vero? E se aggiungiamo che ha vinto anche contro Piacenza, il mal di pancia aumenta. Se poi diciamo che ha vinto una gara alla quale noi piacentini tenevamo molto e sulla quale abbiamo anche investito qualcosa, la notizia diventa quasi insopportabile.
Ma cos’ha vinto Parma? Nel 2020 sarà capitale italiana della cultura.
Vogliamo dare un’occhiata ai commenti sui social? “E noi aspetteremo le briciole che cadranno dal loro tavolo” è il più rassegnato e riferibile.
Tutti gli altri oscillano tra un “era ovvio” e un “è colpa nostra”. Devo riconoscere, mi aspettavo di peggio.
Tra i primi a commentare, il presidente della Banca di Piacenza Sforza Fogliani “Sgarbi sapeva già come sarebbe andata. L’apposito comitato (autoproclamatosi tale, con palesi discriminazioni) scrivendo di accordi con Parma l’ha solo favorita, nella scia della progressiva demolizione di Piacenza come la Camera di Commercio. Emanciparsi”.
Tutta colpa della congiura
E allora partiamo dall’inizio, dal peccato originale.
Sabato 10 settembre del 1547. Primo pomeriggio. Piazza Cittadella. Al primo piano del palazzo della Cittadella (il Farnese era di là da venire) il duca Pier Luigi stava chiacchierando con due cortigiani, Camillo Fogliani e il canonico Coppalati quando, sopraffatte le sentinelle, Giovanni Anguissola entrava nello studio del Duca con due scherani e lo pugnalava a morte, com’è plasticamente raffigurato nel (brutto) dipinto del Toncini conservato al Farnese. Alla congiura avevano partecipato molti nobili piacentini, riuniti sotto l’acronimo PLAC (Pallavicino, Landi, Anguissola, Confalonieri), certamente sobillati dal governatore di Milano, Ferrante Gonzaga e con l’assenso dell’imperatore Carlo V.
Pier Luigi, figlio di papa Paolo III, era da soli due anni duca di Piacenza (e Parma, e non il contrario!). Il motivo della congiura? La nobilità piacentina sentiva minacciate le sue prerogative, perché il nuovo Duca si era mostrato molto decisionista. Insomma, voleva governare e non solo regnare.
Ovvio che i Farnese successivi, a partire dal figlio Ottavio, abbiano spostato la capitale a Parma e anteposto il nome della cugina nel logo del ducato.
Tutto a Parma
E data da quel 1547 la diatriba tra piacentini e parmigiani, aggravata dal fatto che da quando si parla di accorpamenti e riduzione delle spese, finisce sempre allo stesso modo. Si accentra tutto a Parma. L’area vasta? A Parma. La Camera di Commercio? A Parma. Si deve aprire una sezione staccata del Tar? A Parma. Il magistrato del Po? La sede di Iren? La sovrintendenza? Le carte di Verdi? Le statue di Veleia romana? I Ris? Sempre, tutto a Parma.
Le eccellenze parmigiane
Parma, inutile negarlo, non poteva che diventarci antipatica. Anche perché a questo accrocchio di potere pubblico aggiunge la sede dell’autorità europea per la sicurezza alimentare e una filiera agro-alimentare di assoluta eccellenza (prosciutto crudo, culatello, salame di Felino, parmigiano, pasta, pomodoro). In più, e questo fa davvero imbufalire i piacentini, da qualche tempo i pramsan si sono messi ad imitare i migliori piatti della nostra tradizione culinaria, dai pisarei (“di Parma”) alla coppa, dagli anolini alla pancetta. Parma alimenta la sua filiera con una dedizione assoluta, con investimenti ma, soprattutto, con una straordinaria capacità di fare squadra.
E a mio parere è proprio questo che ha fatto la differenza.
Tra le pieghe del bando di Franceschini
Ricordiamo che il bando del ministero non mirava ad individuare la città più bella, né quella che oggi sta dando una miglior offerta culturale, bensì la città che avrebbe prodotto il miglior progetto culturale. Per esempio, Lecce, pur famosa per il suo barocco, è diventata capitale della cultura nel 2015 privilegiando gli artisti di strada.
Se confrontiamo i due progetti presentati al Mibact da Piacenza e da Parma, non troviamo differenze qualificanti. (Anzi, a mio parere, non valgono molto entrambi).
Né, secondo me, ha contato la politica, dato che cinque delle dieci finaliste hanno sindaci Pd e invece ha vinto un Pizzarotti che è da anni un “cane sciolto”, orfano di Grillo. Tra le finaliste c’era anche Macerata che, se fosse stata proclamata vincitrice, sarebbe stata risarcita per i recenti – orribili – fatti di cronaca che l’hanno insanguinata.
Nei giorni scorsi Piacenza, Parma e Reggio hanno stretto un accordo per il quale, se una delle tre avesse vinto, le altre due avrebbero collaborato e ottenuto la stessa visibilità. Oggi qualche piacentino, sui social, auspica che l’accordo sia adempiuto e che così Piacenza possa avere qualche ricaduta.
Conoscendo Parma e i Parmigiani, dubito fortemente che a noi arriverà qualcosa, neppure le briciole. Accadrà come per l’Expo: tante speranze andate in fumo. Ma almeno, stavolta, impariamo la lezione. E non andiamo a regalare 600mila euro di “zolla” alla nostra odiata cugina!
tutto viene accentrato a parma… non sarà magari perchè parma, sia come città che provincia, ha il doppio di abitanti rispetto a piacenza? la sede della provincia di piacenza era forse a fiorenzuola? il consiglio regionale perchè mai non l’hanno messo a cesena? basta con queste ca….te. e lo dico da piacentino, piacenza ha sempre perso e non poteva essere altrimenti data la mentalità dei piacentini, nessuno ci ha mai rubato niente, la colpa è nostra che non abbiamo mai guardato più in là del nostro naso. mai obiettivi, provinciali sempre, come poteva piacenza essere preferita a parma come capitale della coltura? ma la finiamo di prenderci in giro e fare figure da cretini provinciali?