Non ha rimpianti verso la vita da violinista professionista che ha fatto per tanti anni, Nadia Pallaroni, ed é decisamente soddisfatta di quello che fa oggi. Una storia, la sua, che voglio raccontare per parlare di musica, di come, studiandola fin da bambini, quest’arte resti dentro per sempre e dia un rigore e una forza che servono in ogni ambito dell’esistenza; addirittura, come nel caso di Nadia, in un’altra professione; una nuova occasione di vita nella quale portare sensibilità e talento.
Piacentina, diplomata al Conservatorio Nicolini con il maestro Fossati, da anni residente a Verona, Nadia Pallaroni ha alle spalle una lunga carriera come musicista in teatri internazionali e compagini orchestrali e cameristiche prestigiose in giro per il mondo. Una vita intensa, con incontri importanti, e con tanta voglia di migliorare, di continuare a studiare, di perfezionarsi. La svolta però é arrivata dopo i 40 anni, alla luce di una situazione professionale ancora precaria, senza certezze. Da qui la decisione di iscriversi all’Università e il conseguimento della Laurea in Infermieristica nel 2008. Il Concorso passato subito, le ha dato modo di mettere in pratica immediatamente quello che aveva studiato, una passione coltivata fin da bambina, un interesse che in qualche modo aveva già attraversato tutta la sua vita.
Nadia come é nata l’idea di lasciare il violino e di tentare una nuova professione, così lontana da quello che avevi fatto fino a quel momento?
E’ stata una scelta istintiva, come un pò tutti i passaggi della mia vita. Ero stanca di un percorso professionale fatto di continue audizioni, concorsi, incertezze. Ma ero anche amareggiata e delusa da una qualità artistica sempre più bassa degli spettacoli, spesso ripetitivi, e da una dimensione culturale che non garantiva più i livelli alti che avevo conosciuto fino al 2000. La cura della persona mi aveva sempre appassionata, da bambina avevo letto tutta un’enciclopedia medica e anche negli anni impegnati nei concerti mi ero sempre interessata a questo ambito. Non mi spaventava rimettermi in gioco a 40 anni, e tanto meno studiare. Mi sono laureata nel 2008 e ho superato immediatamente due concorsi che mi hanno portata all’assunzione a tempo indeterminato presso l’Ospedale Borgo Trento di Verona, dove tutt’ora lavoro, nel Reparto di Medicina Nucleare.
Lezioni, esami, non ti sei mai scoraggiata durante questo percorso di studi, sicuramente impegnativo?
Assolutamente no. Anzi, rispetto ai miei compagni di corso, tutti ragazzi più giovani di me, ho sentito di avere qualcosa in più. Una maggior consapevolezza di ciò che significa cura della persona, una visione diversa del concetto di assistenza, una sensibilità più sviluppata per le pieghe della sofferenza. E infatti sono stata un pò una guida per molti di loro, con tanti sono ancora in contatto, li considero un pò i miei “figli” professionali.
Geriatria, Pronto Soccorso ora Medicina Nucleare; sei arrivata tardi ma hai recuperato, hai vissuto intensamente questo percorso professionale
La geriatria, con cui ho iniziato, si legava alla mia tesi di Laurea ed é stata una scuola di vita: le persone anziane vivono di ricordi, di rimpianti, ti incitano godere di quello che hai, pienamente, fin che puoi. L’esperienza al Pronto Soccorso é stata invece una palestra professionale perché ho visto di tutto, non solo in termini di sanità: uno spaccato della società, con i suoi tanti aspetti di fragilità e di bisogni, oltre quello che ci si immagina. In questo caso mi hanno aiutato il fatto di essere veloce, di avere ironia e una buona capacità di comunicazione che spesso ha risolto situazioni tese e difficili, sdrammatizzando.
In Medicina Nucleare trattiamo soprattutto casi oncologici, un lavoro di squadra, con esami mirati che richiedono precisione, concentrazione e competenze. Svolgo il ruolo di infermiera, non aspiro a ad altri incarichi, gerarchicamente più alti. Preferisco conservare il contatto diretto con chi sta male e ha bisogno.
Penso a come é cambiata la tua vita. Sei passata da un mondo fatto di teatri e location da sogno, di arte, di bellezza, di eleganza ad uno di sofferenza, di malattia, di tristezza, a volte di disperazione. Questo non ti mette in difficoltà?
Dico spesso che sono passata dalla bellezza alla bruttezza. Ma in realtà non lo penso. Come violinista ho suonato all’Arena di Verona per 20 anni, ma ho lavorato anche con l’Orchestra della Rai, con quella del Teatro La Fenice di Venezia, con l’Orchestra Filarmonica Italiana e con la Camerata di Cremona per citare alcune delle tante esperienze che ho fatto; ho avuto l’opportunità di suonare presso teatri storici, dimore prestigiose, ambasciate, conoscendo luoghi e personaggi esclusivi come Barry White e Andrea Bocelli, solo per fare qualche esempio. Ma c’é un altro lato della medaglia. Ricordo che, soprattutto in alcuni tra i Paesi poveri in cui ho suonato, i contesti lussuosi nei quali ci si esibivamo erano spesso avulsi dalla realtà, ambienti lontani dalla miseria circostante e, così come altrove, ambienti nei quali i musicisti erano spesso considerati come “giullari” da intrattenimento. Ecco, diciamo che ad un certo punto mi sono sentita inadeguata, ho sentito il bisogno di fare qualcosa di diverso, qualcosa per gli altri, di andare oltre l’habitat della musica, che spesso riguarda solo un ristretto gruppo di privilegiati. La ribalta, e tutto quel mondo, non mi mancano.
Violino “appeso al chiodo”, dunque? Cosa resta di tanta vita spesa per la musica?
Qualche volta ho anche pensato di venderlo, il violino, ma per adesso é ancora con me. Spero che servirà ad avvicinare alla musica le mie nipotine (Nadia ha due figlie ed é già nonna).
Inoltre, mettendo da parte il perfezionismo che il Conservatorio impone e insegna, suono in un gruppo amatoriale di Verona che si chiama “Gli Orchi” e nel quale mi occupo di seguire gli archi, affiancando una collega che lo dirige. Sento che le dita non sono più le stesse, passano gli anni e soprattutto manca il tempo per un esercizio costante, che garantisca agilità. Ma non importa.
Dunque la musica rimane, non l’hai messa da parte?
Di musica si vive per sempre. E’ un patrimonio di amore e positività, un’ancora di salvezza che serve anche e soprattutto nelle situazioni difficili; pensiamo, ad esempio, a quello che stiamo vivendo adesso, con la pandemia, al peso dell’isolamento, della solitudine, tutti aspetti che la musica ci aiuta a superare. Cuffiette, smartphone, io ascolto tutti i generi di musica, non solo la classica; mi piace scoprire nuovi talenti tra i giovani, valutare come sta cambiando la tecnica violinistica o risentire brani che ho eseguito tante volte. Una volta all’anno torno anche a trovare il mio maestro, che rispetto a questa scelta di cambiare lavoro mi ha detto “Sono sicuro che farai questo mestiere con la stessa passione con cui suonavi il violino”. Occuparsi degli altri, lenire sofferenze, dare conforto a chi ha bisogno, anche questa é musica. Ritmi e armonie diverse, che però toccano corde profonde dell’anima e che mi danno la stessa gioia di quando suonavo.
Mirella Molinari
Bell’articolo, brava Mirella, riesci sempre a interessare e a coinvolgere!
Ricordo Nadia e la sua passione e la sua bravura x il violino. Mi ha incuriosito e commosso la virata professionale attuata con coraggio e determinazione.
Buon proseguimento Nadia!
Nadia, un angelo con il violino al servizio della cura. Davvero un privilegio per chi l’incontra. Bellissimo articolo.