HomeAttualitàLa Benemerenza civica “Piacenza Primogenita” consegnata ad Alberto Gromi

La Benemerenza civica “Piacenza Primogenita” consegnata ad Alberto Gromi

La consegna della benemerenza civica è un momento di festa per l’intera comunità piacentina. Perché in questo riconoscimento sono racchiusi valori, principi e ideali che esprimono la coesione sociale, l’appartenenza e un’identità in cui ci rispecchiamo con orgoglio, rendendo omaggio a chi se ne è fatto portatore con passione e coerenza nel suo percorso di vita e in quello professionale. Due tragitti che, nel cammino del professor Alberto Gromi, si sono costantemente intrecciati e conducono agli stessi traguardi: la cultura della solidarietà e dell’inclusione sociale, l’impegno a tutela dei diritti, il volontariato come testimonianza attiva di un senso civico costruttivo, teso al dialogo e all’ascolto.

Spesso ci ripetiamo, come esortazione e come auspicio per il futuro del nostro territorio, quanto sia importante fare squadra. Credo che la figura di Alberto Gromi sia, in questa accezione, esemplare, per la sua capacità costante di mettere in relazione mondi diversi e apparentemente lontani gli uni dagli altri, cercando il punto di unione. Dalla comunità “Villa dei Gerani” alla casa famiglia di via Sant’Antonino, dal Beccaria di Milano ai corridoi del liceo Gioia, dalla casa circondariale di Piacenza sino ai viaggi in Africa: l’impronta è sempre la stessa e ha il profilo dell’altruismo, del senso di responsabilità nei confronti del prossimo, di una coscienza civile che è il primo e più prezioso antidoto al male dell’indifferenza.

Oggi, nella solennità che questa cerimonia richiede, premiamo il docente e il dirigente scolastico, il fondatore delle associazioni “Verso Itaca” e “Amici di Lengesim”, il rappresentante delle istituzioni – dai Consigli direttivi dei nostri Musei Civici e della Galleria Ricci Oddi al ruolo di garante dei diritti delle persone private della libertà (incarico mantenuto per 7 anni, dal 2010 al 2017, su nomina del sindaco di Piacenza). Premiamo il volontario e l’esperto che ha messo la sua competenza a servizio del bene comune. Ma credo di poter affermare, nel rispetto degli insegnamenti di cui Alberto Gromi è stato interprete agli occhi e nel cuore della nostra comunità, che innanzitutto premiamo un concittadino e la sua immensa, autentica umanità.

Con una cifra distintiva vocata alla formazione, alla crescita della persona, all’attenzione nei confronti dei giovani, alla valorizzazione di quel ruolo educativo finalizzato al reinserimento sociale, di cui le istituzioni carcerarie possono essere fondamentale strumento. Grazie, professor Gromi, per aver sempre dato voce alle fragilità, alle componenti più vulnerabili di una società che – con il suo lavoro e la sua presenza attiva, così partecipe – ha contribuito a rendere più consapevole, accogliente e generosa. La benemerenza civica “Piacenza Primogenita”, che oggi sono onorata di attribuirle ufficialmente, ne è il segno.

L’INTERVENTO DI ALBERTO GROMI

Com’è strana la vita! Riesce a tessere trame anche a distanza di 76 anni. Pensavo a questo riandando a uno dei pochissimi ricordi che ho di quando frequentavo le elementari. Nell’anno scolastico 1947-48 ero in terza elementare all’Alberoni. Il 10 maggio 1948 la maestra Fumi ci portò in Piazza Cavalli, davanti alla chiesa di S. Francesco, e ci fece leggere la scritta sulla lapide della facciata, a sinistra, verso via XX Settembre. Ce la fece scrivere sul quaderno e ce la fece imparare a memoria: “In questo tempio a dì 10 maggio 1848 i Piacentini con voto di popolo proclamarono primi l’annessione al Piemonte iniziando l’Unità Nazionale”. Era il motivo per cui oggi siamo qui: Piacenza Primogenita. Quasi una premonizione. Quel bambino non capiva molto del contenuto della lapide, ma, come spesso gli capitava, era stupito, incantato.

In questi ultimi anni la scrittura autobiografica con le persone messe alla prova (ci si trova ogni mercoledì e si scrive) mi ha fatto incontrare tante volte quel bambino; pian piano lo ho riconosciuto meglio e mi ci sono affezionato. Era un bambino selvaggio, non perché avesse istinti primitivi, ma perché il suo background era povero, insignificante. Quel bambino ha dovuto costruirsi tutto dal nulla. Ha dovuto imparare i valori, le preghiere, ad apprezzare l’arte: il teatro, il canto, la danza, il cinema. E l’arte dell’educare.

 

Un vecchio detto africano sostiene che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Il bambino che ero ha avuto la fortuna di trovare tanti villaggi che l’hanno accolto, istruito, educato. Prima di tutto Piazza Duomo e i chiostri: la parrocchia, con le prime esperienze teatrali in quel bellissimo teatrino, ma soprattutto l’incontro con la fede, il catechismo, le liturgie in Cattedrale da chierichetto. E poi S. Antonio di Castell’Arquato, dai nonni paterni. La cultura contadina, la cuginanza, il gioco, ma anche uno zio che mi diceva: se vuoi mangiare devi lavorare e mi mandava a pascolare le oche. Ore di solitudine vissute però con gentilezza. Anche le oche sanno tenerti compagnia. E l’Azione Cattolica, una stanzetta a Palazzo Fogliani dove con don Antonio Bozzuffi studiavamo San Paolo; il Collegio Alberoni, poi, dove ho imparato da Padre Testa a ricercare il vero volto di Gesù. I miei villaggi sono stati anche i bambini di strada a Nairobi, l’Università Cattolica di Piacenza, le scuole dove sono stato alunno, insegnante, dove ho incontrato centinaia di giovani che ho visto crescere e che mi hanno fatto crescere.

 

Il bambino che sono stato, così, ha saputo resistere alla povertà, alle privazioni, ha avuto la forza e la pazienza di trasformare i sogni in progetti, ha saputo riconoscere le àncore di salvezza, i doni della Provvidenza che meritavano di dare frutti.

Mi scuso per aver parlato troppo di me, ma vorrei testimoniare ai giovani, ai tanti giovani che incontro, per esempio, in carcere, nelle scuole dove vado a parlare di giustizia che ripara, che l’impossibile può diventare possibile, che l’inimmaginabile può diventare immaginabile. Ma ci vuole un villaggio che ti accolga e ti cresca. È per questo che ora, qui, a nome del bambino che sono stato, vorrei ricordare che a Piacenza ci sono ancora bambini e bambine, ragazzi e ragazze, di varie etnie, provenienze, colori che, come me allora, hanno bisogno di un villaggio per crescere. Mi auguro che Piacenza sappia essere sempre un villaggio accogliente, per tutti e tutte.

Avrei tantissimi “grazie” da dire, ma non c’è tempo e quindi me li tengo nel cuore. Lasciate però che ringrazi tutti voi che mi avete invitato qui e mi avete ascoltato, la Sindaca con gli assessori e i consiglieri comunali in primis, il signor Prefetto, tutte le autorità civili, religiose, militari; le amiche e gli amici che mi vogliono bene. Permettete un ringraziamento particolare al Direttore della Casa Circondariale, dott.ssa Lusi, e alle care persone che sono qui con lei: mi portano il ricordo delle donne e degli uomini ristretti che per otto anni mi hanno raccontato le loro storie di vita e alcune volte abbiamo condiviso commozione e qualche lacrima.

Grazie, grazie di cuore a tutti.

 

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