Dottoressa, come stanno quelli che stanno bene? L’idea di questa intervista con una nota psicologa piacentina, é di Paola Torretta www.paolatorretta.it.
In tempo di Coronavirus, anche chi sta bene, nel senso di chi non ha contratto il virus, o lo ha “incrociato” in forma leggera/asintomatica, in realtà, vive tra paure, incertezze, restrizioni e isolamento. Alle prese con sostanziali cambiamenti di vita e lavoro che, alla lunga, possono creare comunque danni e patologie.
Ne abbiamo dunque parlato con la dottoressa Alessandra Benzi, psicologa clinica e psicologa forense , Prof. a contratto presso l’Universita’di Padova , vice presidente AICPF Associazione Italiana Consulenti Psicoforensi, componente del Consiglio direttivo GeA Genitori Ancora e referente territoriale Emilia Romagna MEDEF Italia , mediatori per la famiglia.

Dott. Benzi, dall’inizio dell’emergenza siamo bombardati da ogni tipo di notizie: discorsi dei politici, spiegazioni di scienziati, opinioni di giornalisti e intellettuali e anche fake news. Ogni giorno rincorriamo il numero dei malati, dei contagiati, degli asintomatici e dei morti.
Si è parlato poco delle persone che, pur non avendo contratto in virus, e che quindi stanno bene, sono chiusi in casa ormai da più di un mese costretti a una vita forzata abolendo completamente la loro socializzazione se non quella stretta familiare.
Dal suo osservatorio previlegiato, come stanno psicologicamente queste persone?
Dal mio osservatorio privilegiato, formato appunto dalle persone che stanno bene, posso ormai trarre una piccola casistica e definire due gruppi . In uno sono comprese le persone che a fronte di un falso adattamento ora iniziano seriamente a patire questa situazione , nell’altro tutte le altre persone che, sembrerà strano a dirsi, stanno bene, ovvero continuano a mantenere una costante di vita in equilibrio e in sintonia con i propri desideri organizzandosi mentalmente intorno ad un isolamento vissuto quasi come una risorsa. Ho riflettuto molto su questo ultimo gruppo e mi sono chiesta provocatoriamente: e se alla fine stessimo meglio così , cioè con rapporti sociali diradati, senza particolari orari da rispettare e con tanto tempo per stare in casa ? Naturalmente questa modalità è maggiormente definita sui single che usufruiscono di tempi e spazi personali e non condivisi, un po’ meno su chi deve nonostante tutto, mantenere alta la guardia della responsabilità dell’accudimento penso a genitori con bambini piccoli , anziani ….
Le epidemie nella storia ci sono sempre state e prima sicuramente non avevamo gli strumenti che abbiamo oggi per affrontarle. La paura con cui stiamo vivendo l’emergenza Covid19 ha a che fare col fatto che la nostra società occidentale ha da sempre accantonato l’idea che la morte possa fare parte della nostra vita e perciò non la vogliamo affrontare nascondendola negli ospedali e nelle case di riposo? Pensa che la paura della malattia e della morte sia stata determinante a tenere buone le persone in casa oppure sarebbe stato meglio informarle e spiegare con chiarezza i comportamenti che avrebbero dovuto tenere per non arrivare a questa situazione estrema che sicuramente avrà una disastrosa ripercussione psicologica ed economica ?
E’difficile rispondere con certezza ad una domanda così . La morte come tutte le esperienze ignote che sfuggono alla perversa necessità dell’umano di controllare , spaventa e la paura terrorizza. Quella della morte è una dimensione che sappiamo che esiste , ma che non ci appartiene sul piano razionale e che quindi vediamo lontana , sfuocata, quasi come se non potesse accadere. Da questo punto di vista è accomunata alla malattia, il nostro pensiero onnipotente ci porta sempre a pensare che a noi non succederà poi quando invece succede, ci troviamo stupiti. Tuttavia, possiamo contare sulla nostra capacità di resilienza , parola che va molto di moda, e che indica la nostra effettiva forza nel reagire ed nell’adattarci ad una novità spiacevole e pericolosa. L’informazione , soprattutto da parte delle istituzioni, ha un ruolo fondamentale e , se chiara e precisa, aiuta a tenere a bada appunto la parte dell’evento che ci sfugge, rassicurandoci. Al contrario, se è ambigua e confusa, crea fantasmi . Io sono per dire la verità sempre a bambini e adulti, partendo da dati esperienziali, certi . Spesso non è quello che si dice che spaventa , ma come lo si dice e spesso non dirlo chiaramente, è ancora peggio. Nel momento particolare che stiamo attraversando stiamo sperimentando di tutto : la paura della malattia ignota, della morte , dell’insicurezza economica , del lutto della mancanza di controllo che ci garantisce la tranquillità, dell’isolamento , degli addii crudeli senza congedo ….insomma troppe emozioni e troppe nuove esperienze tutte insieme e in un tempo troppo limitato , rischiamo di andare in burnout e passare direttamente da un’emergenza sanitaria ad un ‘emergenza psichica che non è da sottovalutare.
La tecnologia ha svolto un ruolo determinante nel mantenimento dei rapporti sociali tra le persone. Pensa che sia stato un ruolo positivo dal punto di vista psicologico?
Assolutamente si’ . Potere contare su una forma palliativa di relazione tramite la tecnologia ci sta permettendo di mantenere un indispensabile contatto con la realta’. Vedersi fuori dal proprio personale isolamento, seppure virtualmente , ci fa da specchio e ci rimanda un’immagine di vitalità compromessa dalla mancanza dello scambio con l’altro.
La reazione a questa situazione di “tempo sospeso” può essere quella di chi vive alla giornata o di chi invece pianifica, realisticamente, scelte per il futuro. Quale delle due, secondo lei, può essere più utile, in termini di serenità ed equilibrio mentale?
Gli esperti affermano che per mantenere un equilibrio psicologico si deve programmare al dettaglio la giornata , ma bisogna esserne capaci , averne le risorse e le possibilità; io invece credo che in questi momenti di grande stress da evento imprevisto, sia altrettanto importante rispettare i propri tempi , non chiedersi troppo e lasciarsi andare anche a momenti di improvvisazione , ad orari più elastici , a meno disciplina. E’ un po’ come farsi un piccolo regalo , gratificarsi non solo con torte e letture ma anche con la libertà di trasgredire la nostra personale normativa casalinga, in giorni in cui le nostre libertà vengono toccate con i divieti ricorrenti.
È giusto secondo lei adattarsi psicologicamente alla situazione presente, mettersi in gioco, affrontare ed accettare il cambiamento, oppure ciascuno di noi, nel limite del possibile, deve cercare di restare ancorato alla sua storia, alla sua identità, perché proprio questo DNA sociale ci darà la forza di riprendere la nostra strada, quando si ripartirà, consapevoli di ciò che siamo?
Ci adattiamo per forza, psicologicamente, alla situazione, come ho detto prima, e chi non si adatta, soffre ancora di più il momento . Il problema è sempre lo stesso, come ci adattiamo ? Vedendo un’opportunità e quindi continuando a mantenere vivi i nostri interessi e il nostro umore o maturando invece l’insofferenza tipica del sentirsi cambiato perché privato della propria abitudinarietà ? L’uomo, oltre ad essere un animale socievole, senza scomodare gli antichi filosofi, è anche plastico , riesce a recuperare le abitudini accantonate e segregare nella parte di memoria più remota una brutta esperienza per lasciare spazio ad esperienze più piacevoli quali appunto la ripresa di una vita cosiddetta normale . Io non credo che questa attuale esperienza smuoverà grandi cambiamenti personali , saremo troppo concentrati sul recupero delle nostre coordinate di vita. Cosa diversa invece sono le categorie di persone più fragili psicologicamente , che avranno bisogno di supporto e di grande aiuto.
Qualche consiglio per i nostri lettori su come ritornare, il più presto possibile speriamo, ad una vita normale, pur convivendo almeno inizialmente ancora con il Covid.
Se ci si sente soli e impauriti chiedere aiuto , riconoscere la propria vulnerabilità e tenerla sospesa chiedendo il conforto di un supporto psicologico ad esempio , fare il possibile per tenere a bada la paura , cercare tutte le rassicurazioni di cui abbiamo bisogno rispettando le piccole regole a tutela della nostra salute e quella degli altri, considerare questa esperienza come un capitolo del nostro romanzo di vita personale e non come il libro unico della nostra vita; leggerlo simbolicamente e passare ad un altro capitolo.
Mirella Molinari-Paola Torretta
Interessante l’ intervista e l’analisi puntuale della collega dott.ssa Benzi
Grazie Collega !
Se avessi voluto vivere così mi sarei fatto frate trappista. Memento homo qui pulsis est…
Alessandra,
articolo molto interessante e molto in linea con il mio pensiero.
Chi ha pagato tanto il periodo covid? Chi ha sempre vissuto situazioni famigliari di benessere d’apparenza.
Dal mio punto di vista il 2020 va vissuto come opportunità e non come la ricerca assoluta di dover ritornare come prima, considerando il periodo pre covid una situazione normale!
Andrea